Alessandro “Billy” Costacurta è uno di quei giocatori che vorresti avere in squadra ogni anno. Classe sopraffina, intelligenza tattica, grande atletismo, soglia dell’attenzione elevatissima, autorevolezza, cattiveria al punto giusto e mai una parola di troppo. Sono queste alcune delle qualità che gli hanno permesso di salire nell’olimpo del calcio mondiale, dove si è affermato come uno dei difensori più efficaci (e vincenti) di sempre, ma anche come uno dei milanisti più fedeli, tanto da guadagnarsi il terzo posto assoluto, alle spalle di due dei suoi storici compagni di reparto, Paolo Maldini e Franco Baresi, nella classifica dei calciatori con più presenze in maglia rossonera. Insomma, gloria eterna.
Costacurta, 21 stagioni, 663 presenze e una serie interminabile di trofei. Se chiude gli occhi e pensa al Milan, qual è la prima cosa che le viene in mente?
A.C. Mi vengono in mente tutti i miei compagni con i quali ho condiviso quei successi: sono rimasti nel mio cuore, ma anche nella mia vita, perché molti di loro continuo a frequentarli.
Nel suo immenso palmarès figurano 7 Scudetti, 5 Coppe dei Campioni e 2 Coppe Intercontinentali. Solo Gento ha vinto più di lei in Europa. Qual è il successo che le suscita maggiore emozione?
A.C. La prima Coppa dei Campioni, quella del 1989, è indimenticabile, anche perché la conquistammo in terra straniera ma con 90mila milanisti a supportarci!
Tassotti, Baresi, Costacurta, Maldini: una poesia, forse la difesa più forte di tutti i tempi. Qual era il vostro segreto?
A.C. Le ore di esercitazione sostenute in allenamento ma anche una notevole amicizia fuori dal campo.
Maldini centrale e lei terzino: avrebbe mai immaginato che sarebbe finita così?
A.C. All’inizio no, poi, stagione dopo stagione, compresi che il capitano si sarebbe spostato al centro e che io, per continuare a giocare, avrei dovuto imparare il ruolo di terzino…
Recentemente Galliani ha confessato che i suoi rinnovi venivano firmati in bianco. Una stupefacente abitudine, se si pensa alla deriva del calcio moderno… C’è stato però un momento nel quale la sua avventura al Milan sembrava essere giunta al capolinea. Nell’estate 2002: contratto scaduto e partenza per gli Usa prima del dietrofront. Cosa ha provato in quelle settimane?
A.C. Quando ero a New York non ero triste ma eccitato dalla nuova esperienza che mi attendeva negli Stati Uniti. La chiamata di Galliani, del tutto inaspettata, fu impossibile da rifiutare.
Quella stagione poi si concluse a Manchester in maniera trionfale, con i rigori che portarono la Champions al Milan. Sempre lo stesso anno finì diversamente in Giappone contro il Boca. Anche lei si presentò dal dischetto e andò male, nonostante avesse i piedi raffinati. Cosa ricorda di quella finale maledetta?
A.C. Fu una delle mie migliori partite in assoluto ma si concluse in modo terribile.
Ancora più terribile fu la finale di Istanbul, nel 2005. A oltre 15 anni di distanza, riesce a darsi una spiegazione?
A.C. Sì. Sottovalutammo la mentalità degli inglesi e la loro capacità di non mollare mai.
Sacchi, Capello, Ancelotti: tre grandi allenatori e altrettanti grandi cicli vincenti. Cosa le ha dato ciascuno di loro?
A.C. Sacchi ci ha dato organizzazione, Capello la mentalità, Ancelotti il gruppo.
Nella sua lunghissima carriera qual è l’attaccante che le ha dato più preoccupazioni?
A.C. Ronaldo, il “brasiliano”, perché era velocissimo, forte fisicamente e meravigliosamente tecnico.
La sua storia d’amore con il Milan è stata straordinaria, ma nasconde forse un rimpianto. Cosa avrebbe significato per lei ricoprire un ruolo in dirigenza? Quanto ci è andato vicino in passato? Lo sogna per il futuro?
A.C. Ci ho sperato, soprattutto nei primi anni dopo il ritiro; ora, il fatto di avere tanto tempo a disposizione da dedicare alle cose e alle persone che amo di più mi rasserena.
Restiamo sull’attualità. Dopo anni di sofferenze e pesanti umiliazioni, il Milan è finalmente ripartito. Ora c’è la Champions, ma soprattutto un progetto chiaro e una ritrovata identità. Tempo fa, lei definì “uno scandalo” l’assenza di Maldini dai quadri dirigenziali della società rossonera: quanto ha pesato Paolo nel processo di rinascita?
A.C. Paolo è una grande persona che ama alla follia il Milan. Retto, giusto e intelligente: lasciarlo fuori dal club per così tanti anni è stata una follia. Ciò che ha fatto in queste ultime stagioni dimostra che cosa il Milan abbia perso nel tempo precedente.
Nella rosa attuale, c’è un giocatore che in qualche modo le somiglia?
A.C. Direi di no, ma la concentrazione che mantiene Kjær per tutti i 90 minuti mi ricorda qualcosa di mio.
La squadra di Pioli è tra le più giovani d’Europa, ma ha un’anima forte ed esprime un gioco moderno. È giusto, già quest’anno, provare ad alzare l’asticella, puntando lo Scudetto, oppure bisogna pensare in primis a riconfermarsi?
A.C. Credo che per il Milan, in questa stagione, la cosa fondamentale sia riconfermarsi tra le prime quattro della Serie A in modo poi da alzare l’asticella nelle annate successive.