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Malesia, tifoso rossonero ha una collezione con oltre 200 maglie del Milan

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Sui social network, e in particolare sulle pagine che parlano di divise da gioco, è considerato una star. Nel suo “armadio” ci sono infatti oltre 200 magliette da calcio. Con una particolarità: sono quasi tutte del Milan, la sua grande passione. Si chiama Khairul, ha 30 anni e vive in Malesia. Nella vita di tutti i giorni è un fisioterapista, ma appena torna a casa si prende cura della sua invidiabile collezione, ammirando i pezzi pregiati e ricercando sul web le maglie che ancora gli mancano, perché da quando tifa Milan sogna di avere tutte le divise del Diavolo, anche quelle del passato. Milan Reporter lo ha intervistato.

Khairul, quante maglie del Milan hai nella tua collezione?
«Oltre 200, tra cui prime maglie, maglie “da trasferta”, terze divise, magliette “speciali”, come quelle utilizzate dal Milan durante le amichevoli e in allenamento».

Quanto tempo ti è servito per avere una collezione così ricca?
«Circa 8 anni. Ho iniziato a collezionare maglie del Milan nel 2010 dopo un ritrovo del club “Milan Malaysia“».

Nella tua collezione ci sono anche maglie indossate da calciatori?
«Sì, nella mia personale collezione ci sono le maglie indossate da Albertini e Gullit!».

Le tue preferite?
«Nell’ordine: le maglie realizzate per il Centenario, nel 1999; le divise della stagione 1992/93 e la maglia “da trasferta” usata dal Milan durante le amichevoli estive della stagione 1997/98. Spero che Puma possa migliorare ulteriormente quanto fatto da Lotto e Adidas, che hanno regalato a noi tifosi maglie bellissime».

Come mai tifi Milan?
«La mia passione per il calcio italiano è iniziata nel 2006, dopo che gli Azzurri hanno conquistato la Coppa del Mondo. Poi l’anno dopo è arrivata la rivincita del Milan in Champions League, con l’indimenticabile vittoria di Atene contro il Liverpool. Da quel momento, ho giurato amore eterno ai rossoneri».

In Malesia e nella vicina Indonesia c’è una grande passione per il Milan. Perché?
«Quello che il Milan ha fatto negli Anni ’90 è qualcosa di unico. I rossoneri giocavano in maniera superba. Le squadre allenate da Sacchi e Capello facevano letteralmente impazzire noi tifosi, ma anche le squadre avversarie, che non sapevano proprio come fare per battere il Milan!».

Qual è il tuo giocatore preferito nella storia del Milan?
«Sono tanti: Maldini, Nesta, Costacurta, Albertini, Rino Gattuso, Pirlo, Kaká, Shevchenko e l’unico, inimitabile, Pippo Inzaghi».

E dell’attuale Milan chi preferisci?
«Il nostro capitano, Romagnoli: forse non sarà ancora come Maldini o Nesta, ma può ancora crescere, visto che ha lo “spirito Milan” nel cuore. “Una volta milanista, per sempre milanista”».

Hai un sogno… nel cassetto?
«Spero, un giorno, di poter volare a Milano e assistere al derby dalle tribune di San Siro. E poi, magari, incontrare le Glorie rossonere e anche i giocatori del Milan di oggi».

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Liverpool, 4 anni dopo: gran finale per “L’altra faccia del Milan”

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A Liverpool – dove cioè quattro anni fa era iniziato – si è formalmente concluso il progetto editoriale-sociale “L’altra faccia del Milan” realizzato da Enrico Fonte. Il giornalista albese, nel marzo del 2019, aveva seguito per il suo blog milanista la partita amichevole benefica tra le leggende del Liverpool e quelle del Milan, una sorta di spareggio dopo i due precedenti nelle finali di Champions League di Istanbul e Atene. In quell’occasione, aveva maturato l’idea di realizzare un libro dedicato ai tifosi milanisti.

Quel libro (“L’altra faccia del Milan”; “The other face of AC Milan”, nella versione inglese tradotta da Vincenzo Manuel Rizzo) è diventato realtà nel giugno del 2020: oltre quaranta storie di supporter da tutto il mondo, sentiti uno ad uno, un capitolo dedicato alle tifose milaniste, contenuti speciali e, come gran finale, tante interviste a ex giocatori, tra cui lo storico capitano e bandiera Franco Baresi. Il tutto con la prefazione di Fondazione Milan, a cui Fonte ha deciso di devolvere i proventi delle vendite (a eccezione della parte di incassi necessaria per coprire le spese di stampa e distribuzione).

Nonostante le difficoltà legate all’emergenza sanitaria, il libro è stato comunque presentato dal vivo, in un’occasione, alla Fiera Nazionale della Nocciola di Cortemilia (paese originario di Fonte), oltre che online, sui canali di Radio Rossonera. Alcune copie del libro sono state omaggiate alla Biblioteca Civica di Cortemilia e alla sede cortemiliese dell’Istituto di Istruzione Superiore Piera Cillario Ferrero.

Inoltre, un’altra copia del libro, unitamente a una maglietta del Milan personalizzata, è stata recapitata dall’autore al club argentino del San Lorenzo di Mar di Plata, in onore di Fidel Voglino, uno dei protagonisti del libro venuto purtroppo a mancare nel periodo della pandemia. Ora quel libro e quella maglietta sono esposti nel museo della squadra argentina, dedicato proprio alla memoria di Fidel.

Da segnalare, inoltre, nell’ambito del progetto, la partecipazione dell’autore alla cena di gala per i 20 anni di Fondazione Milan, assieme all’amico Gianni Righetto, tifoso milanista del Lussemburgo anch’esso protagonista del libro, e la pubblicazione di altre storie di pura passione milanista sulla pagina Facebook del progetto, curate dal giornalista Domenico Abbondandolo.

Sabato 25 marzo, Fonte è tornato ad Anfield: in occasione del match benefico tra le vecchie glorie di Liverpool e Celtic, l’autore ha illustrato il progetto ai rappresentanti della Liverpool Foundation e ha consegnato a Gemma Smith, head of programmes di Lfc Foundation, una copia omaggio dell’opera, che resterà così anche negli archivi del Liverpool.

Il modo migliore, dunque, per concludere il progetto: grazie alle vendite del libro e al contributo di amici e sostenitori, sono stati raccolti 2mila euro che andranno a sostenere le tante iniziative sociali di Fondazione Milan. E in parallelo si è creata una rete di splendide amicizie internazionali. Che potenza ha il calcio!

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Milan Club Bra, ripartenza pirotecnica

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Non poteva che chiudersi con i fuochi d’artificio – quelli veri – la pirotecnica festa natalizia del ritrovato Milan Club Bra – nella patria di Cheese e Slow Food, tra le colline patrimonio dell’umanità Unesco – che giovedì 1° dicembre, alla pizzeria “da Pippi”, ha festeggiato le imminenti festività e, soprattutto, la rinascita. Sì, perché il gruppo braidese è rinato nel vero senso della parola visto che dopo un passato glorioso, nel 2011, si era trovato costretto ad ammainare la bandiera.

Qualche mese fa, il fuoco delle origini è tornato a bruciare e così il club, in poco tempo, si è fatto nutrito e vigoroso. In cabina di regia il presidente Luigi “Gigi” Gentile – una delle prime linee dei Banditi della Curva Sud di Milano -, lo storico presidente dell’associazione braidese Gianfranco Galvagno, i fratelli Mario e Federico Di Grazia, Michele Calliano e Luca Manzo. Attorno a loro – che compongono il direttivo – tanti altri milanisti, giovani ed esperti.

Con “Sempre insieme a te sarò” come colonna sonora, la serata è partita nel segno di mister Pioli, omaggiato con le note – personalizzate in chiave milanista – di “Freed from Desire”. Un tormentone cantato con sentimento perché da queste parti c’è un gran desiderio di poter accogliere e abbracciare il tecnico che ha condotto il Milan allo Scudetto numero 19.

Tra cori e fumogeni, alla presenza anche di alcuni membri del Milan Club Alba Rossonera e del Milan Club Saluzzo, c’è stato spazio per alcune sorprese. La prima: l’intervento telefonico di Giancarlo Capelli. Ancora convalescente, il Barone della Curva Sud ha espresso parole di gratitudine nei confronti dei soci del Milan Club Bra.

A ruota siamo intervenuti noi di Milan Reporter. Accompagnati dalla sciarpa che ci è stata donata dagli amici di Milanisti Indonesia, abbiamo ripercorso la strada di passione e sentimento rossonero che ci ha portato, tra le altre cose, a realizzare il libro benefico “L’altra faccia del Milan” – che sostiene i progetti sociali di Fondazione Milan – e a festeggiare il recente tricolore con il libro “Scudetto 19” (proprio in questi giorni tornato a fare capolino nella Top 100 dei libri di narrativa sportiva più venduti su Amazon).

Poi abbiamo proposto una serie di videomessaggi raccolti per l’occasione: gli ex campioni milanisti Daniele Bonera (oggi collaboratore di mister Pioli), Filippo Galli (consigliamo il suo blog personale www.filippogalli.com), Maurizio Ganz (oggi allenatore del Milan Femminile), Marco Amelia e “Pippo” Pancaro, lo speaker ufficiale del Milan Germano Lanzoni, Nicola Pozzi dell’Ufficio Comunicazione del Milan e Benedetto Di Blasi di Fondazione Milan, Pierangelo Rigattieri, intervenuto come Associazione Milanisti 1899, Associazione Piccoli Azionisti Milan e Radio Rossonera, i giornalisti Mauro Suma e Luca Serafini, rispettivamente direttore e opinionista di Milan Tv, Domenico Abbondandolo, co-autore di “Scudetto 19”, i Milan Club del Marocco, di Gozo (Malta), di Hong Kong, dell’Iraq e dell’Indonesia, oltre a due tifosissimi d’eccezione: Gianni Righetto dal Lussemburgo e Ricardo Pereira dal Brasile.

Tanti applausi tra un saluto e l’altro, fino al canto finale intonato proprio da noi, ricordando Ancelotti e la vittoria più bella di sempre, quella di Manchester: “Forza, lotta, vincerai, non ti lasceremo mai…”. In chiusura – prima del gran finale con i fuochi d’artificio -, la proiezione dei gol della passata stagione, il taglio della torta e le foto di rito, accompagnate dalla consegna delle tessere (oltre 170 sono finora i soci) e dei gadget. E, ancora, riparte, caldo come San Siro nel derby, “Sempre insieme a te sarò, solo mai ti lascerò, sono nato rossonero, da Bandito morirò”. Pelle d’oca e passione alle stelle, con il Diavolo… in fondo al cuor.

Il cuore della Bra rossonera è tornato a pulsare forte.

 

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Zac-San, l’uomo che ha stretto la mano all’Imperatore

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Novanta minuti con Alberto Zaccheroni sono una di quelle esperienze che riconciliano con il calcio, quello più autentico e appassionante.

È una mattina di metà agosto e il sole è già alto in cielo. Il caldo, però, è sopportabile: merito del vento che, come ogni giorno, soffia, insistente e vivace, sulla costa adriatica. Siamo a Cesenatico, nella zona del porto-canale progettato da Leonardo Da Vinci. Lì c’è il Maré, ovvero cucina, caffè, spiaggia, bottega: una struttura unica nel suo genere che permette di andare oltre la classica esperienza di “mare”. Anima del locale è Luca Zaccheroni, figlio di mister Alberto.

Lui, il Mister, capita spesso da quelle parti, specie all’ora di colazione. «A Cesenatico si sta bene», mi dice Zaccheroni con sguardo convinto, «In inverno non siamo più di 20mila persone ma ci sono sempre più proposte. È una città in crescita». Poi ci spiega come sono organizzate le spiagge, ci parla del centro storico e dei migliori locali dove gustare la «vera piadina», ma anche di come lui trascorre le giornate, delle sue passioni (tra queste c’è pure il tartufo e per chi arriva da Alba come me è un enorme piacere!).

Tra un «buongiorno, Mister» e l’altro il discorso finisce presto sulla sua passione più grande, il calcio. Sul tavolo ci sono i miei libri milanisti. Prende in mano “Scudetto 19” ed esclama: «È fantastico essere tifosi del Milan. Guardi che colori, il rosso e il nero. E poi con lo scudetto…». Ha ragione. Del resto, di scudetto lui se ne intende, essendo stato l’artefice di uno dei tricolori più memorabili della storia rossonera. Quello del 1998/99. «Era una squadra con giocatori forti che però avevano dato tutto, o quasi… Sia fisicamente che mentalmente. L’undicesimo posto ottenuto due anni prima da Sacchi e il decimo di Capello lo dimostravano…».

Come fu possibile la svolta? «Un nuovo metodo di lavoro, che va oltre all’introduzione del 3-4-3… Mi riferisco a nuovi stimoli assieme all’orgoglio ritrovato». Allora, partiamo dall’inizio della cavalcata rossonera. «I senatori e, in particolare, Maldini, Costacurta e Albertini si misero a completa disposizione. Questo spirito è nel loro Dna. Diedero la disponibilità a giocare con il nuovo modulo e così anche il resto della squadra mi seguì».

A livello mentale lo scatto decisivo avvenne a sei giornate dalla fine del campionato. «Eravamo stati bravi a non mollare e a tenere la scia della Lazio; poi arrivò la loro sconfitta con la Juve e noi vincemmo in maniera netta a Udine. In quel momento in tutti si accese la voglia di vincere lo scudetto». E tricolore fu, vinto con una volata fatta di sette vittorie consecutive. Grazie anche ad alcuni miracoli di Abbiati («Quando Galliani mi disse che il terzo portiere, Aldegani, sarebbe stato ceduto al Monza, gli spiegai che un sostituto sarebbe servito e così prese Abbiati dal Monza. Una benedizione!») e a tanti gol, frutto di un bel calcio particolarmente studiato e preparato, e un’intensità di gioco a tratti entusiasmante.

Sugli scudi anche Bierhoff: «Non è vero che era bravo solo di testa. Ha segnato la maggior parte dei suoi gol di piede. Il segreto fu coinvolgerlo nel gioco, nella manovra: doveva giocare spalle alla porta, arretrare, ricevere palla dalla mediana e poi smistarla sulle corsie laterali, fino a lanciarsi verso la porta avversaria, nello spazio dove sarebbe arrivato il pallone. Arrivando lanciato sul pallone, con la sua stazza, non dava scampo ai difensori. Se invece fosse rimasto fermo in area, in attesa della palla, sarebbe stato neutralizzato. Spesso non è stato capito». Zac, invece, lo aveva capito, riuscendo a farlo esprimere al meglio. Proprio come accadde con Boban, «a cui diedi la possibilità di muoversi liberamente, da regista, nel tridente d’attacco, sapendo che per propensione naturale avrebbe comunque poi coperto soprattutto la parte di sinistra».

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Zac riuscì poi a esaltare le migliori qualità anche di tanti altri giocatori, che oggi il tecnico romagnolo considera come veri e propri «figli». Pensiamo appunto a Bierhoff, ma anche a uno dei suoi più fedeli assist-man, Helveg. E poi ad Abbiati, a Frezzolini («Il terzo portiere ideale, perfetto per il Milan dopo la partenza di Lehmann»), ma anche a Coco e, guardando oltre il rossonero, a Marcio Amoroso e Dejan Stankovic. A Coco, in particolare, è legato un ricordo particolare. «Rientrato al Milan dal prestito, mi chiese quali fossero le mie gerarchie per la fascia sinistra. Erano queste: Guglielminpietro, il titolare dello scudetto, dietro di lui il neoacquisto Serginho, poi lui. Conoscendone indole e qualità, gli diedi due giorni per decidere se chiedere la cessione oppure rimanere al Milan e giocarsi una maglia da titolare. Tornò da me dopo poche ore: scelse di restare e tirò fuori una grinta incredibile che lo portò a guadagnarsi un posto da titolare. Aveva doti atletiche pazzesche, oltre a qualità tecniche indiscutibili. Purtroppo, nel prosieguo della carriera, non fu fortunato. Dopo un’operazione subìta ai tempi dell’Inter – per rimediare a un dolore che si presentava di tanto in tanto nella zona lombare – il suo fisico non riuscì a tornare quello di prima e la sua carriera fu per sempre compromessa». Al Milan lasciò comunque un segno importante, risultando decisivo nella storica vittoria per 2-0 al Camp Nou contro il Barcellona, nella Champions 2000/01, in cui andò anche in gol.

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Una partita entrata nella leggenda ma che segnò un punto di non ritorno nella storia tra mister Zaccheroni e il presidente Berlusconi. «Fino ad allora c’era stato rispetto reciproco, non c’erano state ingerenze da parte di Berlusconi. Le polemiche erano sui giornali. Ma dopo Barcellona mi chiamò arrabbiato: erano le 3 di notte, non gli piaceva la difesa a 3 e voleva le 2 punte…». L’ex allenatore milanista, in ogni caso, non ha rimpianti, per quanto si fosse legato ai colori rossoneri. «All’Inter avrei di nuovo potuto vincere il campionato e poi, dopo l’esperienza alla Juve, è arrivato il Giappone». E qui il Mister si illumina ancora: «Ho guidato la nazionale nipponica per quattro anni. È stato come vivere in un cartone animato. Straordinario». Un’avventura speciale, sublime fin dall’inizio. «Ancora non mi spiego un’accoglienza del genere. O forse, sì. Probabilmente ho diversi atteggiamenti vicini alla cultura giapponese. Fatto sta che ho ricevuto un lungo abbraccio, incredibilmente intenso».

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Merito sicuramente anche dei risultati ottenuti: la vittoria della Coppa d’Asia su tutti, oltre alla qualificazione ai Mondiali. «Giocavamo un calcio intenso e veloce, sembrava di essere tornati ai tempi dell’Udinese. Battemmo anche l’Argentina. E facemmo un lungo filotto di vittorie. Così crebbero fiducia e consapevolezza. Credevo che tutto ciò ci avrebbe portato a fare grandi cose anche alla Coppa del Mondo: purtroppo, però, i miei giocatori patirono la storia, ovvero il fatto che il Giappone non era mai riuscito ad andare oltre gli ottavi. E ciò fece perdere molte certezze».

Il legame con il Paese del Sol Levante è comunque rimasto splendido. «Ci torno almeno una volta l’anno. Purtroppo, con la pandemia, ho dovuto interrompere i viaggi. Spero di poterci andare presto. Mi amano ancora molto. Per tutti, ancora oggi, sono Zac-San. Peraltro, ho scoperto che tanti genitori hanno chiamato i loro figli Zaky, proprio in mio onore. E poi non posso dimenticare l’incontro con tantissime personalità del Paese, a partire dall’Imperatore: a nessuno è consentito di toccarlo. Lui mi mostrò la mano perché gliela stringessi. Ovviamente, gliela diedi…».

In attesa di tornare a fare visita alla sua seconda casa, mister Zaccheroni guarda «tanto calcio. Continua a piacermi tantissimo. Soprattutto la Serie A. Si fanno tanti confronti con la Premier ma anche qui, rispetto ad anni fa, si compiono giocate di altissimo livello a ritmi velocissimi. Per chi ha respirato per molti anni l’aria della Serie A non c’è spettacolo migliore». E, nel frattempo, continua ad assaporare pure l’atmosfera della panchina. «Da qualche mese sono l’allenatore della Nazionale italiana non profit. La stella è uno dei “miei” ragazzi, Abbiati. Giochiamo per beneficenza e con le partite raccogliamo fondi da destinare a progetti sociali. Non c’è davvero niente di più bello del calcio».

Ha ragione, mister Zac.

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